Internazionalizzazione
Luci e ombre di un processo inevitabile
«L’internazionalizzazione è al primo posto, perché nessuna azienda oggi può evitare di curarsi di ciò che accade all’estero».
Queste le parole di Cartia d’Asero, amministratrice delegata del Gruppo 24 Ore, pronunciate nell’ultimo Festival dell’Economia di Trento. Il suo intervento ha posto l’accento su un tema sempre più importante: l’internazionalizzazione delle imprese. In effetti, l’espansione oltre i confini nazionali è diventata una necessità per molte aziende che sentono da un lato una sempre maggiore pressione dalla concorrenza globale, dall’altro si stanno aprendo alle opportunità offerte dai mercati esteri. Ma in concreto, di cosa stiamo parlando?
Cos’è, e come farla
Iniziamo definendo l’internazionalizzazione come un “processo derivante dallo svolgimento di una (o più) delle attività che ne caratterizzano il funzionamento lungo una dimensione che coinvolge diversi Stati” (Lossani M., 2012). Presente da tempo immemore nel nostro sistema economico, in una fase iniziale riguardava principalmente gli scambi commerciali di materie prime e prodotti di valore elevato (“internazionalizzazione leggera”). Tuttavia, con l’evoluzione della tecnologia, la mobilità internazionale dei capitali, l’abbattimento delle barriere legali e amministrative, l’internazionalizzazione ha assunto una connotazione più ampia, coinvolgendo processi produttivi e attività aziendali (“internazionalizzazione pesante”). Siamo adesso in una fase più avanzata, dove “l’inevitabile conseguenza di un processo di internazionalizzazione sempre più esteso (che coinvolge un numero crescente di Stati) e sempre più intenso (che determina in ciascun Paese un progressivo grado di apertura verso l’estero, definito in termini di maggiori scambi commerciali di beni, servizi, attività finanziarie e investimenti diretti esteri) è la globalizzazione” (Lossani M., 2012).
Ora, ipotizziamo che un’impresa voglia sfruttare questa opportunità ed espandere le proprie attività. Dovrà, in prima battuta, condurre un’analisi approfondita dei mercati esteri in cui ha intenzione di espandersi. Fattori da considerare sono sicuramente la domanda, la concorrenza, le barriere normative e culturali, nonché la fattibilità dell’internazionalizzazione stessa: in altre parole, capire se il gioco vale la candela. Successivamente, si passerà alla formulazione di un piano strategico, che includa obiettivi definiti, scelte di di posizionamento nel mercato e una solida strategia di marketing internazionale. Si parla quindi di strategie, che possiamo semplificare in due tipi: sviluppo e diversificazione.
Strategie di internazionalizzazione a confronto
Strategie di Sviluppo
Seguendo queste strategie, si va a considerare il mercato estero un semplice “prolungamento” del mercato nazionale. Gli obiettivi principali includono:
- aumento del fatturato, banalmente espandere le vendite all’estero per incrementare i ricavi;
- diversificazione del rischio aziendale, questo perché operare in più mercati riduce la dipendenza da un singolo ambiente economico, riducendo l’impatto difficoltà di scala nazionale (ad esempio, novità normative);
- aumento del bacino di potenziali clienti, con un paese di destinazione possibilmente più sensibile ad un prodotto rispetto a quello di origine;
- acquisizione di know-how tecnico, inglobando le conoscenze sviluppate in un dato paese per applicarle in un contesto diverso.
Strategie di Diversificazione
Qui l’impresa sviluppa direttamente nuovi prodotti o servizi specifici per il mercato di destinazione, espandendosi in settori più o meno affini rispetto a quello inziale. L’obiettivo è sempre ampliare l’offerta e raggiungere nuovi segmenti di clientela, ma adattandosi al nuovo contesto di riferimento. Un esempio banale potrebbe essere un’azienda vinicola che, schiacciata dalla concorrenza locale, preferisce direttamente la vendita all’estero, dove il prodotto può essere maggiormente apprezzato a causa della scarsa concorrenza.
Internazionalizzazione: non così facile come sembra
I vantaggi dell’internazionalizzazione, come abbiamo visto, possono essere diversi e tutti interessanti. Allo stesso tempo, non è un passo da prendere alla leggera, e le sfide che si presentano possono essere diverse e complesse da superare. Le principali sono:
- Barriere culturali e linguistiche – Ogni nazione è un caso a parte: diversa lingua, modi di interagire col prossimo, orari. La comprensione e l’adattamento a culture diverse è importante, e può richiedere investimenti significativi in termini di tempo e risorse. Nessuno vuole replicare dei clamorosi insuccessi del passato, come quella volta che la Coors, azienda produttrice di birra, espandendosi nel mercato spagnolo tradusse il suo slogan “turn it loose” con “sufre diarrea“.
- Normative – Il panorama normativo internazionale è piuttosto complesso, e può variare notevolmente da paese a paese. Non soltanto alcune norme, ma anche interi modelli di ordinamento giuridico, come il “Common Law” dei paesi anglosassoni.
- Rischi Valutari – Alle aziende che pensano di espandersi fuori dai confini UE, ricordiamo che le transazioni non avvengono in Euro, ed il valore di una data valuta cambia nel tempo rapportato ad altre. Queste “fluttuazioni” dei tassi di cambio possono influenzare i margini di profitto (nel bene o nel male), e bisogna pensare a tutelarsi con strategie di copertura del rischio.
Supporto istituzionale
Fortunatamente i Paesi hanno generalmente interesse nel favorire il commercio internazionale, ed è questo il caso dell’Italia. Enti come l’ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), oppure varie Camere di Commercio locali, offrono supporto alle imprese nel processo di internazionalizzazione, fornendo servizi di formazione, consulenza, e assistenza per l’accesso a finanziamenti. Rimanendo sui quest’ultimi, ricordiamo che la Cassa Depositi e Prestiti offre soluzioni per supportare l’export e la crescita delle imprese italiane all’estero. Ha infatti messo a disposizione strumenti e finanziamenti agevolati per la sostenibilità, la digitalizzazione, investimenti in filiere produttive e acquisizioni internazionali. Parlando comunque di Italia, la burocrazia legata a queste pratiche può essere piuttosto complessa, e richiede spesso il supporto di consulenti che sappiano quello che fanno.
Internazionalizzazione tra presente e futuro
Se avete letto i giornali di recente, è facile che non abbiate avuto una buona impressione dei rapporti commerciali con l’estero: è il problema dell’Italian Sounding. In breve, questo è un fenomeno di marketing che coinvolge parole, immagini e riferimenti geografici evocativi dell’Italia per promuovere e commercializzare prodotti, soprattutto agroalimentari, che in realtà non sono affatto prodotti nella nostra penisola. Se avete mai vissuto all’estero, sapete quanto sia difficile trovare del Parmigiano tra gli scaffali di “Parmesano”, “Parmegiano” e simili contraffazioni piene di tricolori stampati sopra. È un fenomeno complesso, che genera un giro di affari mondiale di circa 55 miliardi di euro, ed è ancora lontano dall’essere risolto. Tuttavia, ci sono anche lati positivi per le imprese italiane che si approcciano all’internazionalizzazione. Le varie peculiarità regionali, infatti, possono diventare punti di forza su cui costruire una solida presenza all’estero: la qualità artigianale, l’eccellenza agroalimentare, il design innovativo, e di recente anche le innovazioni sviluppate nei vari poli tecnologici.
Abbiamo visto come l’internazionalizzazione sia un processo complesso e sfaccettato, che richiede una buona preparazione ed un certo sforzo nell’esecuzione. Allo stesso modo, il gioco, generalmente, vale la candela: diversi grandi nomi italiani hanno trovato la loro fortuna nei rapporti con l’estero, come la Pagani, che produce tortellini consumati in tutti gli Stati Uniti. Con la giusta preparazione, supporto istituzionale, e dei consulenti preparati, questi ostacoli possono essere agilmente superati e trasformarsi in trampolini di lancio per un’espansione internazionale di successo.
Guardando al futuro, un’azienda deve sempre tenere a mente l’internazionalizzazione: nel bene o nel male, è un elemento che permea ogni parte della nostra economia. Sarà la capacità di adattarsi ad un contesto economico globale ad essere determinante per il suo successo a lungo termine.
Fonti: Sole24 Ore, ICE, Treccani,