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Il problema: la disorganizzazione delle aziende

Senza una strategia chiara, un’azienda non navigherà mai in buone acque. Se manca anche una efficacia organizzativa, non ha futuro. Una banalità, a primo avviso, ma all’aumentare delle aziende con cui entriamo in contatto, queste due gravi mancanze si fanno sempre più comuni. Non certo per mancanza di volontà dell’imprenditore, o per una colpevole disattenzione, piuttosto per la non conoscenza del problema stesso: semplicemente, non si sa cosa significhino i termini “strategia” e “efficacia organizzativa”. Così, aziende dal grande potenziale, guidate da imprenditori validi, vanno lentamente a fermarsi e scomparire, vittime di una generale disorganizzazione interna. Cerchiamo quindi di fare chiarezza su questi due termini, nella speranza che risultino utili a qualcuno di quei piccoli imprenditori che formano la base del nostro sistema produttivo.

 

La direzione strategica

Ricordiamo il concetto di strategia: “la determinazione delle finalità e degli obiettivi fondamentali a lungo termine di un’impresa e l’adozione delle politiche necessarie per la loro realizzazione”. È compito dei vertici aziendali (“top management”) stabilire gli obiettivi e le direzioni da seguire per permettere all’organizzazione di navigare con successo i cambiamenti del mercato. Sono loro la direzione strategica, anche in una piccola impresa: il titolare dell’azienda, chi tiene i conti, chi gestisce le operazioni.

Abbiamo già accennato alla questione in un precedente articolo, ma è sempre buono ripassare: questo processo inizia con la valutazione delle opportunità e delle minacce esterne, e prosegue con l’analisi dei punti di forza e di debolezza interni, per identificare ciò che rende unica la nostra organizzazione. Successivamente, definiamo le linee strategiche, in linea con la missione dell’organizzazione, stabilendo obiettivi a medio-lungo termine e obiettivi operativi a breve termine. Questo ci porta a riconsiderare le strutture organizzative per assicurarci che siano in sintonia con gli obiettivi strategici, un concetto noto come coerenza dinamica. Questo può richiedere cambiamenti nelle strutture, nei sistemi informativi, nei meccanismi di coordinamento e controllo, nella gestione del personale, nella cultura aziendale e nello sviluppo di relazioni con altre organizzazioni.

Ricordate, le scelte organizzative che facciamo possono limitare o abilitare le nostre strategie future. L’obiettivo finale è migliorare la nostra posizione competitiva, l’efficienza operativa e la soddisfazione degli stakeholder. In altre parole: posizionarci meglio, sprecare il meno possibile, rendere felici clienti, fornitori e creditori. Questo è il cuore dell’efficacia organizzativa e della strategia aziendale.

 

I compiti di del “buon manager”

Cerchiamo ora di capire uno dei punti più importanti (e più trascurati) della conduzione di un’azienda: la valutazione delle performance, ovvero capire in modo oggettivo come vada la propria azienda. È un passo fondamentale per definire qualsiasi tipo di strategie e obiettivi futuri. Un “buon manager” deve essere in grado di:

  • Pianificare: stabilire obiettivi chiari, prioritarizzare le azioni e decidere come raggiungerli.
  • Organizzare: identificare le risorse necessarie, distribuire il lavoro e valorizzare il personale.
  • Guidare: dirigere il team verso gli obiettivi, fornendo direzione e ordini quando necessario.
  • Controllare: monitorare i risultati per valutare il personale e identificare aree di miglioramento.

 

Il “buon manager” deve avere delle capacità ben consolidate al momento di avviare un’azienda, o deve svilupparle il prima possibile. Queste sono:

  • Pianificazione strategica: definire una linea d’azione per raggiungere gli obiettivi.
  • Leadership: motivare e coinvolgere i collaboratori, creando un ambiente che favorisca il lavoro di squadra.
  • Delega: affidare compiti e responsabilità, permettendo ai collaboratori di crescere professionalmente.
  • Gestione del personale: guidare i collaboratori attraverso le fasi di cambiamento.
  • Controllo: valutare i risultati e cercare modi per migliorarli.
  • Comunicazione: trasmettere informazioni in modo chiaro e efficace.
  • Negoziazione: trovare soluzioni vantaggiose per tutte le parti coinvolte.

 

È altrettanto importante il come queste capacità vengano impiegate, il cosiddetto “stile direzionale” , ma ne parleremo più avanti. Per adesso, limitiamoci a capire “verso dove” queste capacità debbano essere indirizzate: la missione organizzativa, o “mission”.

 

La mission

La mission, o missione organizzativa, è una dichiarazione formale che esprime gli scopi istituzionali di esistenza dell’azienda, ovvero il motivo per cui un’organizzazione esiste e cosa vuole fare. Essa serve a comunicare ai dipendenti, clienti, fornitori e investitori le finalità dell’organizzazione e a fornire legittimazione agli obiettivi dichiarati.

Per chiarire il nostro discorso, possiamo citare alcune mission aziendali di successo come quella di Google (“La nostra missione è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e utili”), o quella di Coca-Cola: “Rinfrescare il mondo, ispirare ottimismo e felicità, creare valore e fare la differenza”. Queste missioni, nella loro semplicità riflettono chiaramente gli scopi istituzionali e la direzione strategica delle rispettive organizzazioni. Se sembrano banali, ricordiamo che queste due aziende insieme hanno un fatturato annuo, solo in Italia, di oltre due miliardi di euro.

 

Tornando alla mission: non è una cosa a sé stante, fatta per riempire un business plan, ma una parte fondamentale di una più ampia “gerarchia degli obiettivi”, che possiamo articolare in:

  1. Missione: gli obiettivi generali e i fini istituzionali dell’organizzazione.
  2. Obiettivi strategici: traguardi di medio periodo che tengono conto delle minacce e opportunità esterne, nonché dei punti di forza e debolezza interni.
  3. Obiettivi operativi: obiettivi di breve periodo che orientano le azioni quotidiane dell’organizzazione.

 

 

La coerenza tra gli obiettivi strategici e organizzativi

Abbiamo visto come la strategia sia una “linea d’azione” che un’organizzazione adotta per un periodo medio, basata su un’analisi approfondita del contesto esterno e interno. Questo include la valutazione delle minacce e opportunità, nonché dei punti di forza e debolezza interni.

Gli obiettivi strategici possono riguardare l’innovazione, la ricerca, il marketing, la riduzione dei costi, o lo sviluppo del personale. La strategia deve anche considerare se le risorse disponibili sono congruenti con gli obiettivi e cercare di valorizzare al meglio quelle risorse. Esempi di strategie possono includere il miglioramento della qualità, delle prestazioni temporali, dell’innovazione, del marketing, delle condizioni di sicurezza sul lavoro e dell’attenzione alla sostenibilità ambientale.

 

Ora, anche in questo caso la strategia non vive da sola: c’è uno stretto rapporto di interdipendenza tra le strategie perseguite, le soluzioni organizzative adottate e gli obiettivi operativi. Per fare due esempi: la qualità del vostro prodotto non è solo responsabilità del reparto qualità, ma coinvolge tutta l’organizzazione. Allo stesso modo, l’innovazione e il marketing non sono confinati a singole aree, ma sono integrati in tutte le attività aziendali.

 

Gli obiettivi strategici influenzano l’intero funzionamento dell’organizzazione e le soluzioni organizzative adottate. Per illustrare con esempi concreti, possiamo fare riferimento a un articolo di Factorial che descrive la pianificazione strategica come un processo che guida un’azienda verso il raggiungimento degli obiettivi, tenendo conto delle sfide del mercato e delle capacità interne. Un altro esempio è la strategia di business che enfatizza la coerenza e l’unicità dell’impresa, come ricorda Angolotti nel suo Punto: ogni azienda dovrebbe prendere decisioni mirate a trasmettere la sua unicità al target di riferimento.

 

Gli obiettivi operativi

Gli obiettivi operativi sono definiti come “modalità operative attraverso cui si estrinsecano e realizzano le azioni strategiche”. Se pensate che non serva specificarli, vi ricordiamo che sono una delle voci che le banche controllano quando devono decidere se darvi o meno un finanziamento. Se invece la definizione sembra poco chiara, cerchiamo di andare più nel dettaglio. Gli obiettivi operativi possono includere:

 

  • Miglioramento della redditività e della produttività: ottimizzare i processi per aumentare i margini di guadagno e l’efficienza.
  • Crescita delle vendite: espandere il volume delle vendite attraverso nuove strategie di marketing o penetrazione di mercato.
  • Incremento delle quote di mercato: acquisire una maggiore fetta di mercato rispetto ai concorrenti.
  • Miglioramento della qualità del servizio: elevare gli standard dei servizi offerti per soddisfare e superare le aspettative dei clienti.
  • Ottimizzazione dell’acquisizione delle risorse: migliorare le condizioni di acquisto delle risorse necessarie per l’operatività aziendale.
  • Assunzione di personale qualificato: reclutare individui con elevate competenze per rafforzare il team.
  • Sviluppo professionale dei dipendenti: investire in formazione per accrescere le competenze del personale.
  • Adattabilità ai cambiamenti: essere pronti a rispondere a mutamenti inaspettati nel contesto operativo.
  • Innovazione dei prodotti: rinnovare e migliorare l’offerta di prodotti esistenti per mantenere la competitività.

 

Tutte questi obiettivi operativi possono essere riassunti sotto l’ombrello delle “strategie competitive” di Porter, che tratteremo in un articolo futuro. Al momento, possiamo semplificare così: un’organizzazione può scegliere tra diverse opzioni per costruire un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.

È essenziale valutare su quali elementi puntare, come il costo, la differenziazione o la focalizzazione, e decidere in quale ambito competitivo posizionarsi. Per esempio, un’azienda potrebbe decidere di competere sulla base del costo, cercando di diventare il fornitore più economico nel suo settore. Oppure, potrebbe optare per la differenziazione, offrendo prodotti o servizi unici che si distinguono dalla concorrenza.

 

Le strategie competitive: un riassunto

  • Strategia di leadership di costo: questa strategia mira a conquistare una maggiore quota di mercato attraverso la riduzione dei costi. L’obiettivo è offrire prodotti a prezzi più competitivi rispetto ai rivali, ottimizzando l’uso delle risorse e controllando attentamente le spese. Un esempio emblematico è Ryanair, che offre tariffe aeree economiche grazie alla sua capacità di mantenere bassi i costi operativi. Sappiamo che i voli Ryanair sono scomodi, ma sono trai più gettonati per le tratte brevi.
  • Strategia di differenziazione: le aziende che adottano questa strategia si sforzano di distinguere i propri prodotti o servizi da quelli dei concorrenti. Si punta sulla qualità, l’innovazione e un servizio clienti eccellente per creare fedeltà al marchio. Apple è un esempio classico, con prodotti che si distinguono non per il prezzo (tendenzialmente più alto), ma per l’innovazione e l’immagine.
  • Strategia di focalizzazione: in questo caso, l’azienda si concentra su un segmento specifico del mercato, cercando di ottenere un vantaggio di costo o di differenziazione all’interno di quel nicchia. Puma, per esempio, si è focalizzata su alcune discipline sportive, diventando un punto di riferimento nel settore dell’abbigliamento tecnico.

 

Le strategie scelte hanno un impatto diretto sulla struttura interna dell’organizzazione: una strategia di leadership di costo richiede un’organizzazione efficiente, con una forte centralizzazione dell’autorità e un controllo interno rigoroso; una strategia di differenziazione beneficia di un ambiente più flessibile che valorizza la ricerca, l’innovazione e le competenze interne.

 

Anche in questo caso, qualcuno con più esperienza dell’autore ha già pensato a fare ricerca sull’argomento e a formulare teorie interessanti: parliamo delle “tipologie strategiche” delineate da Miles e Snow, che descrivono come le aziende si posizionano rispetto all’innovazione e alla reazione all’ambiente di mercato.

 

  1. Impresa esploratrice: questa tipologia di azienda pone l’accento sull’innovazione e la ricerca di nuove opportunità. Si adatta rapidamente agli ambienti dinamici e promuove un approccio organizzativo flessibile e decentralizzato. Un esempio di tale impresa potrebbe essere una PMI italiana che ha conquistato quote di mercato all’estero grazie alla sua capacità di innovare e adattarsi.
  2. Impresa difensiva: Caratterizzata da un approccio conservativo, questa azienda si concentra sull’efficienza interna e il controllo dei costi, mirando a mantenere la clientela attuale senza perseguire attivamente l’innovazione o la crescita. Un esempio potrebbe essere una società che, nonostante le sfide del mercato, continua a offrire prodotti affidabili ad una clientela fedele.
  3. Impresa analitica: situata tra l’esploratrice e la difensiva, l’impresa analitica cerca di bilanciare l’efficienza con l’innovazione. Per alcune linee di prodotto, si concentra sul miglioramento dell’efficienza, mentre per altre, investe in creatività e ricerca. Amazon, ad esempio, difende il suo core business di vendita di libri e altri beni fisici, mentre costruisce un’attività attorno ai media digitali.
  4. Impresa reattiva: Questa azienda tende a rispondere alle minacce e opportunità ambientali su base ad hoc, spesso senza un chiaro approccio organizzativo. È la tipologia che incontriamo più spesso, quella del “continuiamo come sempre e poi si vede”: la classica piccola impresa che si adatta alle esigenze del momento senza una strategia a lungo termine. Sebbene possa essere efficace in alcuni casi, presenta rischi che possono limitare le possibilità di crescita e sopravvivenza.

 

L’efficacia organizzativa

Arriviamo al secondo punto del nostro discorso: l’efficacia organizzativa. L’efficacia si riferisce alla capacità di un’organizzazione di realizzare i propri obiettivi, che possono essere molteplici e simultanei, sia strategici che operativi. In poche parole, quanto bene l’azienda fa ciò che si è prefissata di fare. È importante notare che l’efficacia non è da confondere con l’efficienza: un’azienda può operare con grande efficienza ma non raggiungere i suoi obiettivi se, ad esempio, produce beni per i quali c’è poca domanda sul mercato.

 

Per misurare l’efficacia, possiamo utilizzare indicatori sia quantitativi (raggiungimento di obiettivi di vendita, riduzione dei costi, ecc.) sia qualitativi (coinvolgimento del personale, soddisfazione dei clienti, ecc.). Esistono diversi approcci per valutare l’efficacia:

  • Approccio degli obiettivi: si concentra sugli output, valutando se l’organizzazione raggiunge i propri obiettivi in termini di prodotti o servizi forniti.
  • Approccio basato sulle risorse: misura la capacità di acquisire e gestire risorse di valore, sia tangibili che intangibili, e di utilizzarle per soddisfare i bisogni dei clienti.
  • Approccio del processo interno: valuta l’efficacia interna dell’organizzazione, considerando fattori come il clima organizzativo, la produttività e l’impegno del personale.
  • Approccio legato agli stakeholder: considera il livello di soddisfazione degli stakeholder chiave, come proprietari, dipendenti, clienti e fornitori.
  • Approccio integrato: combina i vari approcci per fornire una visione complessiva dell’efficacia, riconoscendo che ci possono essere diverse opinioni su cosa costituisca l’efficacia all’interno dell’organizzazione.

 

Se volete capirci di più, possiamo citare uno studio di Aielli che ha utilizzato l’Activity Based Costing per misurare l’efficienza organizzativa, e un altro che ha esaminato l’accettazione del sistema di misurazione e valutazione della performance da parte del personale tecnico-amministrativo di un’università pubblica italiana.

 

Chiarito cosa sia l’efficacia organizzativa, è opportuno capire come valutarla. Possiamo fare riferimento a vari indicatori:

  • Performance finanziarie: si analizza l’impatto delle azioni aziendali sul miglioramento dei risultati finanziari, come il ROI (Return on Investment).
  • Servizio ai clienti: si misura la capacità di soddisfare i clienti e la loro percezione dell’organizzazione, valutando la soddisfazione e la fedeltà.
  • Processi interni: si valuta l’efficienza e la produttività dei processi lavorativi interni.
  • Capacità di apprendimento e crescita: si esamina come l’organizzazione evolve, apprende e migliora, focalizzandosi sulla gestione delle risorse e del capitale umano.

 

Anche in questo (ennesimo) caso, questi indicatori non vivono da soli, masi rafforzano reciprocamente, contribuendo a una visione completa dell’efficacia aziendale. I manager devono quindi bilanciare questi aspetti, decidendo quali perseguire con priorità e quali con minore enfasi, in base alla situazione.

 

Tiriamo le somme su strategie e efficacia organizzativa

Tirando le somme, abbiamo visto come i concetti di “strategia” e “efficacia organizzativa” debbano essere ben chiari nella mente dell’imprenditore, se non vuole vedere colare a picco l’azienda ce ha messo su con tanto amore. Questi due concetti si possono esaminare sotto una miriade di lenti diverse, come le strategie aziendali, la soddisfazione dei clienti, l’efficienza dei processi interni e la capacità di crescita; l’importante è ricordare che tutti questi elementi si intrecciano e dipendono l’uno dall’altro. Il compito del “buon manager” è quello di bilanciare questi aspetti, guardando al futuro con i piedi ben saldi nel presente.